Come evitare di affidarsi alla tipologia sbagliata di fornitore IT nel digitale

In vari articoli ho spiegato l’opportunità per le aziende digitali di delegare in outsourcing la costruzione e la gestione di tutti gli aspetti tecnologici delle loro piattaforme.

Tuttavia, scegliere il fornitore giusto è difficile e ti capisco se nel dubbio di sbagliare preferisci non fare nulla e rimanere nella tua situazione attuale.

E’ per questo motivo che con questo articolo ti voglio spiegare quali sono i tipi di fornitori da evitare come la peste, o meglio le combinazioni di servizi che non devi affidare a specifiche categorie di fornitori.

La premessa è che il digitale è estremamente complesso e multidisciplinare. Cosa vuol dire questo? Che costruire e far evolvere un prodotto digitale richiede la presenza di vari tipi di specialisti, con competenze che è impossibile avere in una sola persona.

Lo stesso vale per le aziende: è estremamente difficile che un fornitore, anche con decine di persone, possa avere al suo interno tutte le competenze o, anche se le avesse, si troverebbe con il grosso problema di gestirle quando ogni tipo di lavorazione richiede un processo differente, poco compatibile con gli altri.

E’ per questo che quando prendiamo in carico in full outsourcing un prodotto digitale complesso, per le parti di lavorazione che non rientrano nelle nostre competenze (es. usabilità, inbound marketing, ecc.) coinvolgiamo partner ed esperti specializzati da noi ben testati, dichiarandolo ai clienti (a differenza di quanto avviene normalmente nel panorama italiano di scatole cinesi in subfornitura) e orchestrandoli per conto loro (che è invece nelle nostre competenze core business).

Esistono in realtà delle aziende che sono in grado di fare tutto dalla A alla Z, ma sono poche in tutto il mondo (mi riferisco ai classici colossi della consulenza che da qualche tempo si sono dati al digitale) e attivarle costa centinaia di migliaia di Euro e più.

Pochissime aziende possono però permettersi di rivolgersi a questi giganti e quello che succede spesso è che quando un’azienda decide di rivolgersi ad un fornitore per farsi costruire e gestire il proprio prodotto digitale, faccia l’errore di rivolgersi al tipo di fornitore sbagliato.

In realtà l’errore è innanzitutto quasi sempre del fornitore,  che afferma di poter fare tutto o quasi pur di prendere la commessa, quando non è affatto così. Chiaramente sbagliano anche alcuni clienti, che non hanno approfondito i criteri per scegliere mitigando i rischi.

In circa 20 anni di esperienza ho potuto osservare moltissimi di questi casi nei quali si sono imbattuti i miei clienti e le conseguenze sono sempre state pesanti per loro (e anche per me perché poi i problemi li abbiamo dovuti risolvere noi).

Per evitarti di cadere nella stessa trappola, ti elenco i principali casi a cui fare attenzione, andando in ordine di pericolosità (dal meno pericoloso al più pericoloso). Non è una statistica con pretesa di essere esatta (e in ognuno di questi settori ci sono anche ottime aziende), ma elenca i casi nei quali ci siamo imbattuti più frequentemente e dove conviene fare più approfondimenti.

Aziende di hosting al chilogrammo

Se ancora stai pensando di far ospitare la tua piattaforma in una delle innumerevoli società di hosting condivisi con piani al chilogrammo, allora dobbiamo partire proprio dalle basi.

Hai presente quelle trasmissioni in TV dove fanno vedere le case piene di oggetti, spazzatura e topi morti delle persone che hanno la “malattia” di conservare ogni cosa per decenni?

Quando un nuovo cliente di chiede di sistemargli un problema urgente o di effettuare la manutenzione del suo prodotto digitale e scopriamo che è ospitato in un hosting condiviso, spesso la situazione in cui ci troviamo davanti è l’equivalente informatico di quelle case che scoppiano di ciarpame.

Pannelli di gestione sgangherati e suddivisi in più sistemi diversi tra di loro, domini acquistati e ospitati in provider differenti, database duplicati, codice disastrato e caricato in FTP (senza neanche usare i protocolli sicuri) con file multipli di backup sparsi ovunque e copie delle copie (.bck, .bck2, _backup, _nomefile, OLD, ecc.), buchi clamorosi nelle configurazioni di sicurezza, password dimenticate, codice non sotto controllo di versione (non dico git, almeno svn, ma neanche quello), siti ospitati lentissimi, ecc. – la lista è troppo lunga.

Per non parlare dell’assistenza dei tecnici dell’hosting: se c’è qualcosa che non va, il suggerimento è di “disabilitare i plugin” di WordPress o simili.

Se sei un informatico serio, stai soffrendo assieme a me, anche se in quei pochi casi in cui è disponibile anche un accesso SSH (se non addirittura telnet), controllare lo storico dei comandi lanciati è fonte di grande divertimento.

Se invece sei un’azienda con una piattaforma o sito in un hosting, probabilmente la triste realtà che sta dietro al tuo sistema è quella che ti ho descritto ora: siamo all’antitesi di concetti come “continuous delivery”, performance, content delivery network, sicurezza informatica, best practices, ecc.

Team di sviluppo senza sistemisti che litigano con team di sistemisti senza sviluppatori

Alcuni dei litigi peggiori tra tecnici li ho visti quando programmatori e sistemisti lavoravano in aziende diverse, con lunghi rimpalli di responsabilità.

Ovviamente il tutto a discapito del cliente che si è affidato a loro, che non vede la soluzione a problemi in realtà spesso banali.

Considera che sviluppatori e sistemisti, soprattutto se di organizzazioni separate, hanno obiettivi diversi e ci sono molti punti di contatto in cui è un attimo generare conflitti.

Ho visto clienti (multinazionali) in cui il team di sviluppo era localizzato in Italia e il team di sistemisti era dislocato presso la casa madre in un altro Paese europeo. Passavano anche settimane prima di risolvere i problemi, che sarebbe stato facile sistemare in pochi minuti.

In una di queste aziende, dopo una ristrutturazione in cui ogni filiale era diventata autonoma con il proprio personale e fornitori, questo tipo di problemi sono magicamente scomparsi.

Salvo poi ricomparire dopo un’ulteriore riorganizzazione in cui alcuni servizi sono stati di nuovo centralizzati ma negli USA, con l’aggravante di fusi orari poco compatibili e siti che rimangono down per ore.

Inoltre ti garantisco che funziona poco anche il modello in cui i sistemisti vengono offerti dalla società che offre il servizio di infrastruttura (tradizionale o cloud).

L’esperienza mi porta a dire che è bene che i loro sistemisti si occupino dei dettagli relativi al “ferro” (cioè far stare in piedi l’infrastruttura fisica in sé, che richiede uno specifico set di competenze), mentre il contenuto (configurazioni e ambienti) deve essere gestito da chi è più vicino alle parti applicative.

Infine, ormai da tempo non è più come nell’antichità del web in cui qualcuno gestiva l’esercizio di codice costruito da altri che veniva consegnato ogni tot settimane se non mesi.

Oggi si va in produzione anche più volte al giorno e la “pipeline” di consegna è fortemente integrata tra codice e sistemi.

E’ necessaria una forte sinergia tra chi scrive codice e chi gestisce i sistemi che lo fanno funzionare, tant’è vero che negli ultimi anni si parla di figure specializzate in questo senso (i DevOps, tema sul quale tornerò in un altro articolo perché intesi nel modo sbagliato nella quasi totalità dei casi).

In sintesi: assicurati che l’azienda che svilupperà e farà la manutenzione del codice sia la stessa che metterà in piedi (e farà stare in piedi) l’infrastruttura di server e servizi su cui funzionerà quel codice, con propri programmatori e sistemisti interni che lavorano vicini, magari nella stessa stanza.

Freelance (e reti di freelance) che spariscono all’improvviso

A meno che il tuo prodotto digitale non sia veramente microscopico (ma a quel punto non rientra nella mia definizione di prodotto digitale), o che tu non sia a corto di denaro (ma ne spenderai molto di più dopo per sistemare i danni), devi evitare di affidarti ad un freelance.

Qui non metto in dubbio in generale la loro bravura, ce ne sono molti veramente esperti. Alcuni miei dipendenti li ho assunti dopo una carriera come liberi professionisti e in più ne conosco vari che sono dei veri e propri consulenti ai vertici del loro settore.

Io stesso sono partito ormai venti anni fa come consulente, per poi però organizzarmi poco dopo come azienda perché mi sono reso subito conto che non era un modello funzionante per i clienti.

E anche io alcune attività secondarie e occasionali di poche ore che non giustificano la presenza di una persona dedicata in azienda le passo a dei collaboratori esterni, a condizione di avere una serie di caratteristiche.

Un freelance, però, può darti una mano solo su piccole attività o questioni minori della tua piattaforma. Per definizione quella del freelance (e di qualsiasi “one man band show” come le ditte individuali) non è una risposta strutturale, in particolare nel digitale proprio per via della multidisciplinarietà e complessità tecnica.

Ti faccio un esempio estremo ma reale: un mio cliente (società per azioni con una piattaforma digitale che rappresenta il canale principale per acquisire clienti) si affidava totalmente ad un unico freelance, con l’aggravante di ospitare il sito in hosting nel modo che ho indicato prima.

Purtroppo il freelance ad un certo punto non ha potuto più seguire il progetto interrompendo improvvisamente la collaborazione e la comunicazione, peraltro a ridosso della scadenza di un bando pubblico per il quale il cliente doveva consegnare una versione specifica della piattaforma.

In fretta e in furia abbiamo dovuto decifrare il “sistema” di organizzazione del codice di quello sviluppatore, ricostruire i passaggi in un mucchio di email sparse su più account e districarci nei meandri dell’hosting. Oltre a buttare via molte parti per via di password mancanti.

Per non parlare di quei freelance che scappano o si rendono irreperibili nei momenti chiave (tralasciando le situazioni in cui è il cliente ad essere “infernale” e a farli scappare). Purtroppo ne ho conosciuti tanti, sia direttamente che presso vari clienti che ancora oggi di tanto in tanto fanno l’errore di rivolgersi di nuovo a loro.

Lo stesso vale per le “reti” di freelance, pronte a crollare come un castello di carte al primo soffio.

Alcuni dicono che il futuro sarà basato su queste fantomatiche reti e “collaborazioni liquide” di freelance, e che anche i lavoratori di mestieri intellettuali diventeranno prima o poi tutti collaboratori esterni.

Lasciami dire che ci credo ben poco, e che metto queste affermazioni più o meno sullo stesso piano di chi dirà che verremo fatti fuori tutti dall’automazione e dall’intelligenza artificiale. Non sarà affatto così.

Web Agency indifferenziate che dicono di sapere fare tutto per tutti

Lo ammetto, mi chiamano anche il giustiziere anti web agency. Ma questo è davvero il caso peggiore di tutti.

Premessa: ci sono tante web agency specializzate che fanno perfettamente il loro lavoro. Il punto è proprio questo: il LORO lavoro e non quello delle altre aziende.

Il fatto è che come ti dicevo prima il digitale è estremamente ampio e non esiste più come una volta il concetto che l’azienda che si occupa per te del web è la “web agency”, così come non esiste più l’ormai arcaica figura del “web master”.

Anche nella parte di marketing e comunicazione c’è ora una costellazione di aziende che non ricadono più nell’etichetta troppo generica di agenzia digitale.

Mi riferisco ad esempio alle aziende specializzate in usabilità, a quelle di inbound marketing, quelle che si occupano di search engine marketing, ecc.

Solo nel settore marketing technology (MarTech) possiamo contare almeno 30 differenti tipi di tecnologie, figuriamoci se possono essere gestiti tutti dalla stessa azienda.

Ognuno di questi è un mondo a sé stante che per essere seguito nel modo opportuno deve essere affidato a chi è specializzato solo su quello.

E fin qui ti ho parlato solo degli aspetti più orientati al marketing e alla comunicazione, dove ancora ci potrebbe stare un po’ impropriamente il concetto di web agency.

Il peggio arriva quando parliamo di tecnologia: in particolare lo sviluppo software e la gestione dei sistemi.

Ed è qui che i clienti delle web agency finiscono nella disperazione più totale, elevata all’ennesima potenza quando gli “sviluppatori” dell’agenzia sono dei freelance (magari sottopagati o pagati a calci nel sedere) o dei contratti a progetto, e magari mettono i siti negli hosting di cui sopra.

Ti cito solo un paio di casi di clienti finiti nei guai, che ho dovuto risolvere io con il mio team:

Esempio 1. Azienda prima per fatturato nel suo settore in Italia che ha speso quasi centomila Euro per una piattaforma e-commerce, ha dovuto buttare via tutto e ricominciare da capo.

Il lavoro su grafica e SEO era ottimo, per carità, ma il sito era pieno di bug e soprattutto non reggeva più di una decina di utenti contemporaneamente nonostante un’infrastruttura con quasi 20 server che non abbiamo messo neanche quando abbiamo realizzato il nuovo portale dell’Agenzia Spaziale Europea (in grado di mostrare i video delle missioni in tempo reale con più di 800.000 utenti contemporaneamente).

Esempio 2. Digital Media multinazionale e leader mondiale che si è fatto realizzare una rivista online che doveva assorbire almeno un milione di visitatori al mese, non reggeva più di due utenti assieme.

Fantastico lavoro sul CMS con gestione libera di attributi nel modello editoriale, peccato sia stato realizzato con un plugin per WordPress pesantissimo senza un minimo di verifica delle performance, oltre a tanti altri problemi nel codice custom.

Potrei citarti molti altri casi ma sicuramente hai capito il concetto.

Chiariamoci: se tutto quello che ti serve è un piccolo sito dal quale non dipende il tuo fatturato, che serve solo a far vedere che esisti, vai pure in una web agency tutto fare che ti dice anche che ti fa “la SEO per portare traffico”: non hai bisogno di altro.

Altrimenti se vuoi evitare i fallimenti peggiori stanne alla larga.

Se tu stesso sei il titolare di una web agency, pensaci bene a come hai strutturato la tua azienda: evita di tenerti in casa lo sviluppo e i sistemi e fatti invece affiancare da un partner serio che lavori con te in prima linea col tuo cliente, sicuramente non come subfornitore (altro disastro sperimentato personalmente).

Allo stesso modo fai attenzione ai team di sviluppo che dichiarano di fare di tutto, dalla programmazione, al SEO, al cloud, alla formazione, ecc.

Come evitare tutti questi problemi?

Premetto che nessuno è perfetto (neanche noi lo possiamo essere e abbiamo fatto i nostri errori, portando ancora addosso le cicatrici), e comunque in un contesto in cui il concetto di “bug” è per sua natura parte integrante del software e le infrastrutture non stanno in piedi da sole, è impossibile non avere un certo tasso di problemi (è però importante avere le procedure per minimizzarli e gestirli).

Come puoi vedere, tuttavia, molti di questi tipi di fornitori tendono a lasciare una lunga scia di cadaveri.

I problemi più grossi arrivano in particolare dalle aziende che lavorano a commessa e che dicono di saper fare tutto per tutti, saltando da un progetto all’altro e cambiando ogni volta clienti dopo averli spremuti come un limone per poi farli fuori, senza poi prendersi la responsabilità di gestire quei prodotti dopo averli realizzati.

Questo non vuol dire che dare in outsourcing gli aspetti tecnologici della propria piattaforma significhi automaticamente fallimento o costi esplosivi, tutt’altro: ci sono anzi opportunità molto ghiotte per le aziende digitali.

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